Cartelli iniziali
Cartelli iniziali

La strada che sale a Pieve Tesino prima e Malga Sorgazza poi è una di quelle che non esiste, che non può esistere. Ruba spazio alla montagna e da valle non si vede. Si inerpica salendo ad ogni tornante di 10 metri e sembra voglia farti tornare indietro.

In larga parte è una mulattiera leggermente ammodernata, dove preghi costantemente di non incontrare nessuno nell’altro senso di marcia.

Più si sale e più inizio a respirare. Dentro il bosco intuisco case semplici che invidio con tutto me stesso.

Intorno si sente il rumore del torrente che scorre impetuoso, segno che la neve quest’anno è stata copiosa.

Arrivo a Malga Sorgazza (1450 m) intorno alle 9 ed il tempo è buono. Parcheggio e mi preparo per salire.

Sulla destra un laghetto ed il miraggio di Cima D’Asta (2847 m).

Con gli scarponi ai piedi e lo zaino pesantissimo sulle spalle (devo capire come renderlo più leggero) prendo il sentiero 328 che parte proprio accanto alla Malga. All’inizio è molto ben curato e sale quasi subito con decisione.

Ogni tanto mi fermo osservando in lontananza la mia meta finale. Purtroppo nel canalone dei Bassanesi ed anche sulla Normale, c’è ancora neve, quindi dovrò improvvisare sul momento.

Il sentiero non lascia tregua e quando il bosco finisce, sale ancora attraverso l’erba un po’ alta, rendendo il cammino più difficoltoso in quanto non si capisce bene dove mettere i piedi.

Finalmente si inizia a vedere il Lago di Costa Brunella (2021 m) e le case dell’Enel da dove viene gestita la diga. Il lago è di un colore incredibile ed i riflessi della neve ancora presente intorno, sono uno spettacolo che mi lascia senza fiato.

Mi fermo per mangiare e, mentre le nuvole avvolgono le cime intorno, prendo una decisione: voglio vivere quest’avventura completamente in simbiosi con la montagna, fregandomene di Gps o foto. Spengo tutto, lasciando acceso solo il cellulare per le emergenze, e respiro profondamente per la prima volta da tanto tempo, riempiendomi i polmoni con tutto ciò che sto ammirando.

Il sentiero adesso è tracciato su sassaie di granito e lastre a volte lucide ed in poco tempo porta alla forcella di Rava (passando accanto a Cima Trento -2530 m-). Purtroppo non sono riuscito a salire al Cimon Rava (2436 m) perché le nuvole coprivano tutto ed aveva iniziato a piovere. Da li si imbocca il sentiero 332 bis, molto comodo ed agevole, che attraverso la cima della Val di Rava porta alla forcella Ravetta (2219 m). Da qui si scende con decisione, accanto a Cima Caldenave (2442 m), arrivando al rifugio omonimo (1792 m) che sembra apparire da un mondo differente. Tanto il gruppo del Lagorai è duro e spietato, tanto questo rifugio e la sua conca, sono bucolici e rasserenanti.

Le gambe ancora mi reggono e decido di proseguire (dopo aver fatto rifornimento d’acqua) fino al bivacco Lastei (sentiero 360), passando per gli splendidi laghetti della valle dell’inferno. Il sentiero sale dolcemente fino ai 2000 metri e, quando arrivo davanti al Baito (qui li chiamano così), c’è ancora luce. Anzi… c’è quella luce che rende tutto perfetto, immobile ed infinito. Proseguo. Deciso. Finché ho le forze è meglio fare più strada possibile. Passo dalla Forcella delle Buse Tedesche (2309 m), prendo il 373 e continuo il mio cammino. Con una piccola deviazione, sulla sinistra, arrivo intorno alle 20 al bivacco Cengello (2320 m), sotto la cima omonima e quasi accanto al minuscolo laghetto che porta lo stesso nome.

Finalmente tolgo l’assurdo zaino che ho in spalla e mi preparo per la notte, dopo aver mangiato qualcosa (ah, sante barrette).

Alle 6 mi sveglio, vado a rinfrescarmi al laghetto e riparto con decisione.

Le gambe mi fanno male, ma la strada da fare è ancora parecchia. E poi c’è Cima D’Asta che mi aspetta.

Trovo, non senza difficoltà, il bivacco in pietra del tenente Cecchin (vedi cenni storici) e mi rammarico di come sia abbandonato a se stesso. Mi fermo un attimo ed ammetto che mi sono commosso al pensiero di tutto quello che è successo su queste montagne e che, quasi ad ogni angolo, urla ancora il suo ricordo.

Passando accanto a Cima Lasteati (2414 m) arrivo a Forcella Magna (2117 m), dove durante la guerra gli italiani assestavano grossi pezzi d’artiglieria, essendo servita da una (ora distrutta) carrozzabile. Da qui si prende il sentiero 380 e poi il 380 bis (a passo Socede -2518 m - dove ci sono evidenti resti di trincea) fino ad arrivare al Rifugio Brentari (2473 m)

Il luogo è meravigliosamente isolato, con uno dei più bei laghi che abbia mai visto, a far da cornice ad un silenzio assoluto. Qui la mia idea di vivermi quest’avventura quasi estraniato dal mondo, ha avuto una fortissima conferma. Mi fermo e respiro profondamente, come solo sul Payer ( ah, santo Payer…. ) ero riuscito a fare, e chiedo alle mie gambe e ginocchia ancora un ultimo sforzo: Cima D’Asta.

Il canalone dei Bassanesi che volevo “scalare” è pieno di neve ed è impossibile da salire senza attrezzatura, decido quindi di prendere la via normale, dopo aver lasciato lo zaino presso il rifugio. Anche in questa parte è presente la neve, ma l’arrampicata non è molto ripida e, sentito anche i pareri di chi era già salito e sceso, parto con sicurezza e trepidazione.

Il primo tratto è su massi e abbastanza faticoso (seguire gli ometti e i segnavia) fino a giungere alla cresta rocciosa detta Forzeleta (2680 m). Da qui bisogna scendere passando su un nevaio attrezzato con funi metalliche e scalini  (attenzione: ci sono alcuni passaggi anche a 45° di pendenza), per poi salire con decisione attraverso massi, gradoni ed altri nevai fino alla croce di vetta (2847 m).

Chiunque vada in montagna sa cosa si prova in quei momenti, è la sensazione di far parte di un qualcosa di infinitamente grande e di essere così fortunato da poter essere qui a raccontarlo.

In cima non c’è quasi nessuno e posso godermi per diverso tempo quest’emozione assurda.

Fin qui ci sono arrivato fisicamente in solitaria, con le mie gambe doloranti e la paura di non farcela.

Ma su queste rocce non sono da solo, lo so, lo sento.

Con me ci sono i ricordi di chi non c’è più ed avrebbe voluto essere qui, le mille camminate che ci segnano per sempre, le albe ed i tramonti visti nel più completo silenzio, le tende, i bivacchi, il crescere troppo veloce e confuso.

Ci sono i passi di chi qui non è arrivato, ed i suoi timori e sorrisi.

Ci sono le speranze che ho perso per strada, che abbiamo perso per strada e che SOLO QUI, riesco ancora a credere possibili.

Qui, con me, ci sono i gesti che facciamo gli uni per gli altri, le parole che ci diciamo ogni giorno senza, spesso, pensare alle conseguenze, gli abbracci e gli sguardi di chi amiamo ed abbiamo amato.

Su Cima D’Asta c’è tutta la mia vita che mi stava aspettando, e la vita di chi, FISICAMENTE, non è qui accanto a me.

Ma le emozioni, buone o brutte che siano, non si cancellano mai e, fortunatamente, la mia esistenza ne è piena. Su quella croce che domina il cielo ne lascio una molto forte, che sa di passato e di sogni non realizzati. So che il vento, la neve, il sole, la pioggia, il silenzio, la proteggeranno e difenderanno ogni giorno.

 

E’ giunto il momento di proseguire, dare un ultimo sguardo e proseguire.

 

Laggiù, a 1400 metri di lontananza, c’è Malga Sorgazza che mi attende.

Rifaccio la normale (attenzione che scendendo è più difficile) fino al Brentari dove recupero lo zaino e me lo rimetto in spalla (dimenticavo quanto fosse ancora pesante).

Prendo il sentiero 327 che passa attraverso lastroni granitici decisamente pendenti e spesso umidi (sono bagnati da cascatelle) e cala con decisione verso valle fino ad arrivare alla località Al Bivio dove inizia a spianare entrando in un bosco di larici.

Giungo a destinazione con le ginocchia ed i muscoli in fiamme, ma con qualche certezza in più.

 

La montagna è la mia scuola di vita da quando sono piccolo… ed ancora una volta mi ha guidato con la sua mano sicura, ma che chiede molto in cambio.

Non posso far altro che ringraziarla, come sempre.

 

La strada che scende da Malga Sorgazza prima e da Pieve Tesino dopo è una di quelle che non esiste, che non può esistere. Ruba spazio alla montagna e da valle non si vede. Scende ad ogni tornante di 10 metri e sembra voglia allontanarti da lì nel più breve tempo possibile.

Più mi lascio alle spalle il rumore del torrente, i boschi, la durezza del Lagorai, la neve a Cima D’Asta, il cobalto dei laghetti, l’immenso silenzio accompagnato dal vento e più mi accorgo che il mio respiro diventa affannato. So che probabilmente questa è la mia ultima “grande” camminata (il mio corpo è stato molto chiaro), ma so anche che questi momenti mi hanno segnato profondamente e che finire così è stato meraviglioso.

In questi luoghi c’è il vero Roberto, il vero me stesso che solo qui rinasce totalmente.

 

HO BISOGNO della montagna per vivere.

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