SETTEFONTI

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Il paesino di Settefonti rimane in provincia di Bologna, perso tra le colline e il silenzio….. Un tempo, un’enorme castello dominava la vallata, costruito in epoca remota su quella che era un’antica strada che portava in Toscana. Questo castello fu probabilmente costruito dai Canossa , le sue origini però sono incerte, i documenti dicono che alla fine del Duecento Bologna lo fortificò; in seguito la popolazione incominciò a diminuire inspiegabilmente fino all’abbandono del castello. Questa fortezza, situata sulla cima di un precipizio, aveva una sola entrata ed era circondata da grosse mura. Ghirardacci, nel tardo cinquecento, scrisse delle note in cui riportava la notizia che allora esistevano già delle rovine del castello che era stato abbandonato nel secolo precedente. In seguito, su queste rovine fu costruita nel ‘600 la chiesa di S.M. Assunta che fu poi parzialmente distrutta durante la seconda guerra mondiale. Attualmente sono stati fatti dei lavori di restauro alla facciata della chiesa, i quali hanno riportato alla luce un muro costruito con blocchi di selenite che facevano parte dell’antica chiesa del castello di epoca romanica.

Settefonti, anticamente ” Stifonte “, prende il suo nome da sette miracolose fonti che sgorgavano nei boschi di questa zona. Secondo la leggenda avevano poteri diversi, dalla guarigione fino alla vita eterna.

Beata Lucia da Settefonti vergine camaldolese Tra i calanchi del nostro paesaggio collinare ce n’è uno ancora percorribile lungo il suo crinale: quello detto della Badessa . Intorno a questo percorso è fiorita la gentile leggenda della Beata Lucia da Settefonti. Attorno al 1100, Bologna vive una vita cittadina continuamente turbata dalle lotte tra Guelfi e Ghibellini. In questo clima politico, nell’antica famiglia Chiari, viene alla luce una bambina, alla quale la madre impartì un’educazione religiosa e, con gli anni, divenuta una splendida ragazza, matura il desiderio di dedicare la vita alla preghiera, scegliendo di vivere nel monastero Camaldolese di Stifonti, fondato nel 1097. Tale monastero, dedicato a Santa Cristina, sorgeva vicino all’attuale pieve di Pastino, a ridosso del lungo crinale tra i calanchi. La giovane prese i voti nella chiesa bolognese di Santo Stefano, scegliendo il nome di Lucia. Divenne badessa, alla morte di Matilde fondatrice del convento, ma la fama della sua bellezza raggiunse il circondario e la voce giunse anche alle tante guarnigioni che presidiavano il territorio di Uggiano. Tra i militi vi era un soldato di ventura, il nobile bolognese conte e cavalier Diotagora Fava, conosciuto come Rolando; egli si era fatto trasferire proprio nella guarnigione di San Pietro per poter rivedere Lucia, che aveva incontrato in una chiesa di Bologna, quando non aveva ancora preso i voti. Il bel cavaliere percorreva a cavallo ogni mattina il sentiero sui calanchi, per recarsi alla chiesa del convento, ma mai una parola fu detta tra loro. Lucia si era accorta di questa costante presenza e presto si trovò a combattere il turbamento con assidue preghiere, veglie e penitenze che minarono presto la sua salute. Cadde ammalata, ma lui non cessò le sue visite mattutine. Una volta guarita, cercò invano di resistere a non scendere più in chiesa, ma un giorno decise di parlargli, con la complicità di una suora. Si parlarono, lui aprì il suo cuore e anche Lucia lo fece: gli disse di amarlo, ma di essere risoluta nella sua dedizione alla vita monastica e lo invitò a non tornare più. Si lasciarono, con la promessa del cavaliere di partire crociato per la Terrasanta. Così fece, mentre Lucia, minata dalla malattia, si spense santamente. Il cavaliere fu ferito, fatto prigioniero e rinchiuso in una cella dove una notte in preda alla febbre, vide Lucia che gli tendeva la mano e, come in sogno, si trovò trasportato nella foresta di Stifonti. Risvegliatosi, s’incamminò verso il convento , s’inginocchiò davanti alla tomba dell’amata e pianse. In quel momento le sette fonti di acqua cristallina, che si erano seccate alla morte di Lucia, ripresero a zampillare copiosamente. Questo fatto fu raccontato per la prima volta dal cavaliere redivivo e subito Lucia fu venerata come santa dalla gente, la Chiesa però non lo ritenne verosimile e ignorò la cosa. Intanto, dopo la morte di Lucia (1157?), il convento, continuamente preso di mira dai briganti, data la sua posizione isolata, fu trasferito a S. Andrea di Ozzano, sulle pendici del monte Arligo, dove sorgeva un altro monastero camaldolese, poi, a metà del Duecento, dentro le mura di Bologna nel convento di S. Cristina della Fondazza, tuttora esistente. Solo nel 1508 la Chiesa riconobbe ufficialmente il fatto accaduto tre secoli prima e proclamò Lucia beata. Le reliquie della Santa rimasero qui fino al 7 novembre 1573 quando il Cardinale Paleotti le traslò di nuovo nella chiesa di S.Andrea di Ozzano. Pio VI nel 1779 ne confermò il culto e ne fissò la memoria al 7 novembre. I Camaldolesi la venerano come fondatrice del ramo femminile dell’ordine. Oggi il monastero non esiste più, essendo stato demolito nel 1769; a indicare l’originaria posizione sulla collina vi è solo un pilastrino, dono della famiglia Fava. Anche le sette fonti si sono prosciugate col tempo, l’ultima che era rimasta è stata interrata anni fa dal proprietario, stanco del via vai della gente che si andava a bagnare sperando in un miracolo. N ella chiesa di S. Andrea, dove il corpo di Lucia fu trasportato nel 1573, un paio di ceppi pendono dall’altare, e da quel tempo lontano, lo stretto calanco che il giovane cavaliere era solito percorrere, prese il nome di Passo della Badessa .

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